#La grande corsa
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pier-carlo-universe · 1 day ago
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“La grande corsa”, il romanzo d’esordio di Selena Cravotto
Selena Cravotto si affaccia sul panorama editoriale con il romanzo La grande corsa, in uscita il 10 febbraio con la casa editrice Affiori.
Selena Cravotto si affaccia sul panorama editoriale con il romanzo La grande corsa, in uscita il 10 febbraio con la casa editrice Affiori. A essere narrata è una storia che parte da Torino e arriva fino al Monte Bianco, attraversando la Francia. È una riflessione sull’ambizione e sui sogni attraverso gli occhi di Sveva, una giovane donna che un tempo odiava correre, e su ciò che la separa dal…
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ideeperscrittori · 7 months ago
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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ilpianistasultetto · 4 months ago
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LUCI ROSSE
Quando ero un acerbo adolescente, mi facevo trascinare dagli amici più grandicelli al cinema. Devo dire che nel mio quartiere esistevano ben tre sale cinematografiche, di queste, ne è rimasta una sola in attività, spesso chiusa, gestita alla meglio da qualche associazione locale. Delle altre due, una è diventata una banca e l'altra un piccolo supermercato.
Di queste tre sale, la più intrigante proiettava film a luci rosse. Alla cassa c'era quasi sempre una donna ma la vergogna ad entrare non ci sfiorava. Certamente ci guardavamo intorno per vedere se qualche conoscente ci pizzicava all'uscio e poi di corsa dentro. All'uscita la stessa accortezza, via libera e si fischiettava!
Qualcuno si camuffava con occhiali scuri, il bavero alzato e il tono della voce era roba da doppiatore di Al Pacino: "cinque biglietti, grazie!"
In verità, non eravamo per niente maggiorenni, forse solo uno tra noi, io potevo avere tredici, forse quattordici anni, ma la cassiera non chiedeva i documenti e ci lasciava entrare.
Funzionava che potevi restare seduto anche per tre spettacoli consecutivi, non esisteva il cambio di pubblico, si entrava quando volevi e così per uscire; inutile dire che quasi tutti uscivano dopo aver fatto almeno un bis.
Erano tempi diversi, non esisteva internet e in televisione il nudo era merce rara. Ricordo un programma televisivo su Rai Due: “Odeon. Tutto quanto fa spettacolo”, un rotocalco abbastanza disinvolto. Mia madre conosceva la mia passione per Tex Willer e Diabolik e non comprendeva bene il mio interesse per quel tipo di programma: "bravo, guardi anche programmi intellettuali!?" Le era sfuggito quel servizio che mostrava le ballerine del Crazy Horse a seno nudo!
Non mi voglio dilungare, ma la situazione politica sembra proprio un film a luci rosse. Pensavo alle parole di Giorgetti, che parla di sacrifici che si dovranno fare, di soldi che non ci sono, della grande fregatura che toccherà ancora una volta a quella parte di lavoratori italiani onesti, così capisco che negli anni non e' mai cambiato niente per questa parte d'italiani.. sempre messi in quelle pose che passavano sullo schermo di quel cinema.. @ilpianistasultetto
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angelap3 · 9 months ago
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Se avete due minuti, leggetela è bellissima!❤️😘❤️
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi:
«voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
«perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare i’indomani:
«devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii…
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
«grande papà, ha preso la mamma in braccio!»
il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
Ii quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
«papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:
«che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi:
«ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma…
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero I dettagli, I semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, I soldi… queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
Autore sconosciuto
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odioilvento · 4 months ago
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Che bella questa frase.
Oggi è la festa dei nonni, santi nonni, come dico sempre io dei nonni di mio figlio.
E questa frase mi ricorda tanto gli occhi delle mie due nonne. Entrambi occhi azzurri, che mio figlio ha ereditato. Occhi che in effetti non puoi dimenticare.
Mia nonna di qui era una donna forte, alta, decisa, dalla quale andavo ogni giorno dopo scuola, quando ancora era raro il tempo pieno, in attesa dei miei genitori che erano al lavoro. E quando mia mamma arrivava a prendermi era sempre di corsa e mi ricordo benissimo la voce di mia nonna che, dalla lobbia, con me di fianco, le diceva: "Sei di fretta, te la butto giù così non sali". Cucinava delle frittelle a carnevale che non ho mai più mangiato. Io ero la nipote più grande di otto, andavamo in montagna a luglio solo io e lei e via via arrivavano tutti i nipoti. E lei teneva praticamente tutti. Quando eravamo sole facevamo delle camminate nei boschi, con un bastone ogni volta trovato al momento, con le sue gambe che erano già un po' storte. Arriva da lei il mio amore per la montagna. Era una donna precisa, ma avanti. Una delle cose che mi ricordo per ultime, prima che la sua testolina perdesse il contatto con le realtà, è come rispose a mia mamma quando le dicemmo che io e il mio allora moroso, ora marito, volevamo andare a vivere insieme. Mia mamma non era convinta e mi disse di andare a chiedere a mia nonna, e lei semplicemente disse sì, non vedo il problema. Mia mamma non ha potuto dire più niente.
L'altra mia nonna viveva invece in Sardegna e quindi la vedevo una volta l'anno in agosto. Stessi occhi azzurri, ma una donnina minuta, magra anche con tutti gli strati di vestiti che indossava, di un riserbo enorme. Che viveva in simbiosi con mio nonno. Con due nomi fatti uno per l'altra: Bonaria e Felice. Di lei ho ricordi più rari per il poco tempo insieme. Però non posso dimenticare le tavolate a casa sua con tutti gli zii ed i cugini e lei che cucinava ravioli di magro per tutta la via. Quanti pomodori abbiamo tagliato per fare la conserva. Le uova delle galline che ogni giorno andava a prendere nel piccolo pollaio in cortile. E mi ricordo benissimo, tipo una foto stampata nella memoria, lei, che aveva sempre freddo essendo magrolina, seduta su questa mini seggiolina di legno, davanti al camino acceso anche in agosto, con un pentolino con il gelato che si scioglieva un po', se no era troppo freddo. E poi le frasi che diceva sempre e che uso ancora: "cottu o non cottu su fogu dda biu", "la casa non ruba nasconde" e quello che era il suo saluto ogni volta che sapeva che dovevamo andare via "venite quando volete", come dire, torna il prima possibile, ma fai quello che devi fare.
Le mie nonne, e la loro luce negli occhi, non le dimenticherò mai.
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mezzopieno-news · 25 days ago
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LA DEFORESTAZIONE DELL’AMAZZONIA CROLLA DEL 30% AI MINIMI DA 10 ANNI
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La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è diminuita del 30,6% nell’ultimo anno, raggiungendo il livello di distruzione più basso degli ultimi nove anni.
La deforestazione in Amazzonia, la foresta pluviale più grande della Terra, è notevolmente rallentata soprattutto negli ultimi tre anni, da quando il presidente Lula ha avviato una campagna di conservazione della biodiversità e del patrimonio forestale. I tassi di taglio degli alberi in questa area del pianeta sono oggi circa un quarto di quelli che si registravano negli anni 2000, al culmine della corsa alla deforestazione. L’inversione della tendenza è stata particolarmente evidente a partire da gennaio 2023, quando il governo brasiliano ha avviato politiche più rigorose per la protezione della foresta, tra cui un incremento del 104% delle denunce di infrazioni contro la flora dell’Amazzonia e un aumento del 61% dei sequestri di attrezzature utilizzate dai minatori clandestini. Le nuove riserve naturali e le strategie di protezione hanno giocato un ruolo cruciale nel raggiungimento di questi risultati record La ministra dell’Ambiente, Marina Silva, ha sottolineato che questi risultati sono il frutto di un lavoro congiunto tra governo, organizzazioni non governative e comunità locali.
Il minore disboscamento, oltre a preservare la biodiversità difende la stabilità climatica, la protezione del suolo, fornendo maggiore disponibilità di risorse naturali e opportunità di occupazione per le comunità locali che tendono in questo modo a evitare l’inurbamento e la perdita delle proprie radici. Il governo brasiliano ha firmato per questo fine diversi accordi, cedendo la custodia di queste terre alle popolazioni indigene.
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Fonte: Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali del Brasile; foto di Kelly
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VERIFICATO ALLA FONTE Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
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susieporta · 8 months ago
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Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.
Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.
⁃ Sei tu, vero? - mi ha detto.
Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.
⁃ Ciao, - ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.
Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.
- Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? - ha detto lui.
L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere.
Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.
Prima di andare ho detto: - Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?
⁃ Rosella, - ha risposto. - Nessuno può dimenticarsi di te.
Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.
(Post del 2020. Lo ripropongo come un buon augurio collettivo).
Rossella Postorino
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marcoleopa · 1 month ago
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Analfabeti funzionali
Tratto da Repubblica.it del 10 12 24
Gli analfabeti funzionali
Nella literacy il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali. Nel senso che sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, al livello 1 (25% del campione in Italia) riescono a capire testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate. Al di sotto del livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. All'estremità opposta dello spettro (livelli 4-5), il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse) ha ottenuto i risultati più elevati, in quanto possono comprendere e valutare testi densi su più pagine, cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti.
Messaggio Presidente della Repubblica del 31 12 24
“la pace come obiettivo irrinunziabile”
“importanza della libera informazione”. “Attesa di rivedere Cecilia Sala al più presto in Italia”
“sproporzione sconfortante” tra corsa agli armamenti e cambiamento climatico"
“precarietà e incertezza” sono “una causa della crisi delle nascite”
“creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione”
“È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità”
"Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose"
“i giovani sono la grande risorsa del nostro Paese”
“la speranza siamo noi”. Nel 2025 “gli ottanta anni della Liberazione”
Etc.
Cosa hanno capito al Governo e in Parlamento:
Patriottismo
Repetita iuvant:
il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali.
Gioco, partita, incontro
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anchesetuttinoino · 7 months ago
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La dichiarazione finale del G7 è composta di 19.842 parole. Apro il mio tablet sul bordo del lago di Sevan. Sono venuti a trovarmi alcuni amici cacciati dall’Artsakh (Nagorno-Karabakh), desertificato della sua popolazione indigena dagli invasori giunti dall’Azerbaigian tirando cannonate su Stepanakert e su tutti i villaggi abitati. Una espulsione totalitaria equivalente al genocidio, qualcosa di così disumano da spaccare le ossa della mia anima.
Ma so che tutto questo è stato vissuto dolorosamente anche da tanti italiani, a differenza del loro governo e del Parlamento (maggioranza e opposizione, presenzialisti e assenteisti). Tutti adoratori della Costituzione, questi politici, e tutti a citare l’articolo 11 che «ripudia la guerra». Ma ci dev’essere un post-scriptum riservato, che si passano tra loro le generazioni di potenti: non c’è scritto che bisogna ripudiare chi fa la guerra e annienta poveri cristi, purché in cambio stipino di gas
i nostri serbatoi, e di caviale certi tipetti, e di denaro le nostre fabbriche di cannoni e aerei militari per trasferire paracadutisti di reparti d’assalto sui tetti di sciagurate minoranze cristiane…
Sono ingiusto a non fare distinguo. Non tutti i parlamentari e i ministri e i sottosegretari hanno sacrificato gli armeni dell’Artsakh alla ragion di Stato (ma val la pena sopravviva uno Stato che ha ragioni così miserabili per campare, al punto da accarezzare massacri e pulizie etniche purché gli autori siano bravi fornitori?); non tutti hanno chiuso gli occhi, ci sono pochi meravigliosi deputati e senatori coraggiosi, oltre a qualche Nicodemo che nel silenzio dissente. Oso qualche nome: Centemero, Formentini, Zampa, Pozzolo, Orsini, Malagola, Fassino e se dimentico qualcuno, scriva che – se sono ancora vivo – rimedierò.
Speranze tradite
Ho letto la dichiarazione finale firmata da capi di Stato e premier del G7. Ho usato i dispositivi dell’intelligenza calcolatrice che permettono di scrutare il succo dei testi. Avevo moderate speranze di trovare un impegno per tutelare la piccola culla delle memorie cristiane, un luogo che non è simbolico e basta, ma palpitava. Uso il passato! Il Nagorno era abitato da centoventimila cristiani. Nel settembre del 2020 l’Azerbaigian sostenuto dai turchi si era già preso metà del territorio. Russia e Bielorussia, che avrebbero dovuto intervenire in base ai trattati sottoscritti con l’Armenia, hanno lasciato fare. Nel 2022, quattro giorni prima dell’aggressione all’Ucraina, Putin e il dittatore azero Ilham Aliyev hanno firmato un trattato che ha consentito alla Russia di triangolare gas e petrolio con l’Occidente tramite il simpatico tiranno il cui padre Heydar fu vice di Breznev e colonna asiatica del Kgb. Nel 2023, dopo uno stillicidio di attacchi e assassinii, e l’assedio utile per far morire i bambini di fame, il colpo finale. In centomila espropriati della loro essenza furono costretti, per non essere schiavizzati o appesi ai pali, ad andarsene in Armenia. L’Italia era corsa in soccorso del vincitore sin dai primi giorni del 2023 firmando un accordo per la “modernizzazione” (dichiarazione ufficiale del governo di Baku) delle forze armate azere.
Clima 53, Nagorno 0
Ed ecco il G7 a presidenza italiana. Speravamo in Giorgia Meloni, ma forse l’essersi affidata a Elisabetta Belloni come sherpa per fissare accordi, non è stata una grande idea, almeno per noi disgraziati cristiani del Caucaso. Avevamo sperato nella presenza al G7 di Borgo Egnazia dello Stato più amico di noi armeni che esista in Occidente, almeno sulla carta: in Francia circa 750 mila suoi cittadini sono “arméniens de France”; ma dovrebbero esserlo anche gli Stati Uniti e il Canada, nazioni in cui i miei fratelli assommano a un milione e mezzo. Risultati? Siamo invisibili, siamo inesistenti. Esiste anche un genocidio che passa attraverso la soppressione del problema, l’impiparsene.
Tra i circa 20 mila lemmi ho fatto contare al computer alcune parole chiave. Innanzitutto nomi di Stati o territori: Russia 61 occorrenze, Ucraina 57, Cina 29, Nord Corea 14, Palestina 13, Israele 11, Iran 11, Gaza 9, Libia 6, Armenia 0, Nagorno-Karabakh 0, Azerbaigian 0./
Nomi per problematiche: clima/cambiamento climatico 53, gender 25, diritti umani 24, dignità umana 3, migrazioni/migranti 38, inquinamento 12, plastica 9, libertà 13, libertà religiosa 0, persecuzione 1, persecuzione religiosa 0.
Come si vede, l’Armenia e la sparizione di una nazione cristiana dalle cartine geografiche in Caucaso non sono un problema che interessi i grandi. Qui batterò ancora qualche colpo in alfabeto Morse, o vi siete stancati anche voi?
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sayitaliano · 3 months ago
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Ciao sono nata in Italia ma il mio italiano fa comunque schifo è incomprensibile. Vorrei migliorare il mio lessico la scrittura e quando parlo ho problemi.
Come posso migliorare? Dovrei avere un tutor?
Ciao!
Da quello che hai scritto non mi sembra che tu abbia grossi problemi, anzi. Vivi sempre in Italia, giusto? Lo sai che noi stessi siamo i primi a non parlare correttamente la nostra lingua, a metterci dentro errori e via dicendo...
Quello che posso suggerirti è di provare a lavorare sulla punteggiatura quando scrivi, e anche quando parli: non ti ho ascoltata e non ti conosco, per cui non so se sia questo il problema, ma non preoccuparti se devi prenderti delle pause per pensare prima di esprimerti. Abbiamo preso la brutta abitudine di fare tutto di corsa, sembra che non abbiamo mai tempo per nulla, invece ne siamo pieni e finiamo anche con l'avanzarlo... Quindi davvero, non preoccuparti.
Per migliorare il lessico (ma anche il tuo parlato/scritto) leggi (dai giornali, ai libri, alle riviste, alle poesie... lo so a scuola ce ne fanno leggere molte, ma ce ne sono di più belle: cerca anche quelle straniere tradotte, prova a capirne le sfumature e cerca di capire se tu avresti usato parole differenti); se non ti piace leggere, guarda serie tv o film anche storici, o documentari (non tutti sono noiosi... prova con argomenti che sono di tuo interesse, anche video su youtube vanno bene). Se trovi parole complesse o sconosciute, cercane il significato sul dizionario e usale in un paio di frasi. Studia la grammatica anche se è noiosissima: diventa curiosa sul perché qualcuno abbia usato quelle parole, quella punteggiatura, quel tempo verbale invece che un altro. Trova gli errori dei giornalisti, per esempio: non per qualcosa, ma per ricordarti di ciò che sai tu. Da quello che ho capito con questo blog, a scuola non ci insegnano molte cose in maniera diretta, ma solo in maniera indiretta: le apprendiamo con la pratica, vivendo, interagendo con gli altri e aprendoci ai nostri errori, che, come detto, ci stanno. Italians are imperfect beings! :P. Ah, vale anche aprire il dizionario a caso e leggere le definizioni di un paio di parole ogni tanto, e provare ad usarle sia in alcune frasi di prova che mentre parli. La decisione finale è la tua, ma non credo che tu abbia bisogno di un tutor: credo che tu possa ancora concederti del tempo, no? Prova a scrivere un diario giornaliero, anche poche parole su quello che hai fatto o inventando storie di poche righe, magari appunto usando parole nuove. Tra un mese dimmi come va, se è cambiato qualcosa oppure no. E poi decidi. :)
Continua a provare ad esprimerti, non chiuderti. Non convincerti di non essere capace di fare qualcosa: questo è il blocco più grande che ci possa essere. Sei tu che ti controlli, e se ti convinci di qualcosa, sarà difficile non seguire quella tua convinzione inconsciamente. Le tue paure e insicurezze prenderanno il sopravvento e ti bloccherai, trovando solo conferme sulle tue incapacità. In poche parole, se ti convinci di non essere abbastanza brava a comunicare o di essere incomprensibile (specialmente se per qualsiasi motivo qualcuno te lo ha detto e tu hai iniziato a crederci), finirai davvero per esserlo perché l'ansia di voler comunicare al meglio ma non sapere come farlo (in realtà lo sai, ma magari hai smesso di fidarti di te), ti saboterà fino a farti balbettare o avere dubbi su qualsiasi cosa. Tante volte le persone si chiudono nelle loro paure, e nel chiudersi ci chiudono fuori a nostra volta. Non sempre hanno ragione però. Non aver paura di essere te stessa, di prenderti del tempo, di parlare a modo tuo con le tue sfumature. Chi vuole aspettarti ti aspetta comunque. Gli altri, lasciali andare. E datti tempo anche tu. ...Forse mi sono lasciata prendere dal momento qui, ti chiedo scusa se ho detto qualcosa che non dovevo o che non c'entra con la tua situazione. Ma succede che ciò che non va sul piano emotivo si rifletta sul piano comunicativo. Siamo esseri complessi...
In bocca al lupo!
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schizografia · 1 month ago
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Ieri mattina ho cominciato a stare male. Questa angoscia che tornava a galla. Questo senso di terrore, non di paura, di disperazione: mi sento disperata. Le mattine passate nel terrore. Si può patire così tanto? Soffrire così: le sembra umano? Ci sono depressioni che durano eternamente, e la mia è una di queste. Sono talmente invischiata in questo dolore che mi sembra impossibile che possa togliermi questo peso dallo stomaco. È più che una sofferenza fisica. Ci si sente diversi dagli altri individui. Me li guardo come persone di un altro pianeta. Questo sentirmi lontana da tutti. Ci si sente come costretti a camminare su due gambe rotte. Mi sento tutta a pezzi. Si prova una sofferenza tremenda. Come ricercare qualcosa che non si raggiunge mai. Mi chiedo spesso come un organismo possa superare tutto questo. Possibile che non ci si consumi con tutto questo? Nonostante tutto questo stillicidio l’organismo resiste. Mi sembra un mistero. Ci sono dei momenti in cui mi sento liberata da questo peso. Ci si trova a terra da un momento all’altro. Mi sento veramente morta. Mi sento con dentro niente. Mi ritrovo senza nessun desiderio. Sono in un baratro.
[…]
“Morivo ieri mattina: da ieri sera mi sento meglio. Il tempo: quasi un fermarsi: un tempo che si fa eterno. La mia sofferenza è l’unica cosa che sento. Mi sento in un clima di tragedia. Mi sento quasi andare alla deriva. Mi sento svuotata di tutto. Non ho voglia di vivere perché vivere significa morire. La realtà è tremenda. Mi sento ossessionata da questa sofferenza. Sono in carcere: sto per rientrarvi ora che esco di qui. Mi sento in bilico. Istintivamente, mancandomi quest’angoscia, mi sento più sola. Mi manca, ma non dovrei sentirne la mancanza. Il cuore stretto da una morsa di acciaio. Il dovere sopportare tutte le avversità che ho: questa è sofferenza. Estranea: è così che mi sento. Non ho più l’angoscia di allora. Avevo l’impressione che il grande dolore, l’angoscia, mi schiacciasse.
[…]
“Giornate pessime. Mi sento terribilmente sola. Non ho niente a cui aggrapparmi. Non c’è più niente che mi dia senso. Non riuscivo a piangere. Mi sentivo disperata: almeno piangessi. Quello che mi mette in crisi sono le decisioni. Se potessi sperare nel suicidio, se potessi contare su di una morte così vicina, se potessi scegliere la mia morte, sopporterei meglio questa sofferenza tremenda perché ne conoscerei la fine. Non ho la speranza della morte. Non ho questa speranza. Non ho più alcuna speranza. Mi sento il cuore in gola: come se avessi fatto una corsa. Vivere così mi sembra praticamente impossibile. Sono disperata. Mi sembra di essere ancora prigioniera dell’angoscia e della disperazione. Vivo come un automa.
[…]
Non riesco a liberarmi da questa angoscia. Avverto una sofferenza, e questo è fuori discussione. Di cosa è fatta questa sofferenza? Il dolore fisico, al confronto, non è niente. Tutti i contatti umani sono tragici. Mi sento come prigioniera nelle sabbie mobili, e i tentativi per uscirne, sempre più disperati, raggiungono solo lo scopo di farmi precipitare giù in fondo. Non ce la faccio più a vivere così. Cosa faccio visto che, anche con l’aiuto dei farmaci, non riesco ad uscirne? Mi detesto. È una cosa disumana: non ne posso più. Questa sofferenza mi annulla. Non è facile morire.
Maria Teresa da Eugenio Borgna, L'indicibile tenerezza: In cammino con Simone Weil
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madziy · 2 years ago
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La mia attività preferita della domenica mattina (per me nel weekend è mattina almeno fino alle 14) è prendere il caffè e spiare i cagnetti dei miei vicini che fanno le passeggiate. Vorrei anch’io un cane ma viaggio troppo e quando non viaggio sto comunque fuori casa da mattina a sera (e poi ho una paura fottuta di essere responsabile di una creatura e non accorgermi che sta male e ha bisogno di cure). Tra i viaggi già fatti e quelli prenotati ho già finito i miei giorni di vacanza che avevo da usare per quest’anno quindi quando la settimana scorsa ho ricevuto un’email che mi offriva un giorno libero in cambio di un’attività di beneficienza mi sono subito iscritta presa dall’eccitazione, senza realizzare bene che si tratta di una corsa. Io odio correre, ma ho fino a settembre per farmelo piacere. Ci ho messo quindici anni a farmi piacere le olive e ora le adoro. Quando arriva giovedì e sono esausta dal lavoro e dalle attività solite della settimana e sento un ronzio in testa per le ore passate in inutili riunioni online, per cena mangio olive davanti alla tv pensando al prossimo viaggio. Capita a volte che le persone mi dicano che devo avere un sacco di soldi per viaggiare tanto e io spiego sempre che semplicemente tutti i miei soldi li investo in quello. Non ho bambini, non ho una macchina e non compro cose costose. Forse se prendessi un cane spenderei tutti i miei soldi per lui e il problema del viaggiare troppo si risolverebbe così. Comprerei finalmente una macchina e ci faremmo dei road trip pazzeschi. Il problema più grande comunque rimangono i pochi giorni di ferie quindi sto pensando a quale sarà la prossima grande cosa in cui investire e smettere di lavorare.
Ah, presa dalla disperazione mi sono fatta rossa, segno da donna basic che qualcosa deve cambiare.
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filorunsultra · 29 days ago
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Dodici gennaio
C'è un gruppo di persone del TRC che è diventato una specie di allegra comunità terapeutica. È successo un po' per caso, perché stiamo vivendo situazioni relativamente simili, siamo single o quasi (se si dice ancora), vicini ai trenta, per eccesso o per difetto, in bolletta e con prospettive deprimenti. Passiamo molto tempo assieme e corriamo molti chilometri (comunque meno di un anno fa, quando tutto andava bene, o forse peggio, ma mi sentivo invincibile di fronte alle forze del male dell’ultrarunning). Parliamo abbastanza tra di noi, per lo più di cose di poco conto, abbastanza di questioni personali, e raramente di cose impegnate. Beviamo il giusto, io comunque poco, o meno del solito, che è sempre poco, fatto salvo un paio di occasioni, si fa per dire, non feriali. Sembra una serie TV anni Novanta, e in parte non ci andiamo lontano. Anche i nostri problemi sono quelli di una serie TV, e cioè non sono problemi, o sono comunque poco importanti, in buona parte, anche se sembrano insormontabili quando ti ci trovi dentro. Penso che sia importante non trascendere. Due contingenze non fanno una costante e se ti sono andate storte tre cose in una settimana non è perché capitano tutte a te, è solo che ti sono andate storte tre cose in una settimana. Tutto qua. L'autocommiserazione non ha mai aiutato nessuno. Nemmeno l'autoaiuto ha mai aiutato nessuno, ma almeno quello è divertente, se fatto correndo.
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Delle informazioni a caso non richieste sul giro di ieri, non correvo così a lungo da JFK a novembre. In questo momento 27km mi sembrano tantissimi.
A volte mi capita di voler stare da solo, e quando succede c'è un posto in cui vado; il Biography, naturalmente. Del TRC, ieri non ero l'unico ad averci pensato: avremmo potuto trovarci ai Bindesi e farlo insieme, ma volevo correre da solo e andare a blocco. Era uno di quei rari giorni di grazia fisica, quelli che hai sì e no una o due volte l'anno, quasi sempre in allenamento, mai in gara.
La stradina che da casa mia conduce alla chiesa del paese è piuttosto ripida, l'ho corsa senza affanno, al contrario di come mi capita di solito, da freddo. Era una giornata calda per gennaio, così ho corso con una maglia a maniche lunghe e gli shorts. Sono uscito di casa a mezzogiorno senza acqua e senza cibo, a digiuno dalla sera prima (avevo però bevuto la canonica caraffa da due litri di caffè filtro prima di partire). Senza mangiare né bere ho un'autonomia di circa due ore, ma considerando che il giro finiva con una lunga discesa potevo tirare avanti un altro quarto d'ora. Bastava correre più velocemente.
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Tuscany Crossing, che non c'entra niente
Il primo chilometro è lappato dopo 5 minuti e 58''. C'è un po' di dislivello fino al sentiero ed è raro che lo corra sotto i sei minuti. Se potevo correre bene il primo chilometro potevo correrli bene tutti, così ho accelerato. Alle quattro strade ho scavalcato la grande recinzione che chiude il sentiero in manutenzione e sono sceso a Cognola dal 402. Il primo chilometro di discesa è lappato in 3'52'': è un single track abbastanza ripido e non si riescono a fare grandi velocità, quel tempo mi è sembrato buono. Poi Povo, Villazzano, Grotta, Bindesi, e Loop. Tre salite da 400 metri sono gestibili anche in crisi, così ho accelerato un po'. Sono arrivato all'ultimo tratto di single track prima del Maranza un po' fuso, ma lo ho corso tutto e da lì mi sono tirato in giù da un sentiero che non avevo mai fatto. Dai Bindesi ho preso la vecchia strada che facevo quando abitavo in città e sono arrivato in Piazza Vicenza. Lì è arrivata finalmente la crisi che stavo premeditando dalla sera prima. Sono passato da correre a 4'20'' a 10' /km da un metro all'altro, ma a quel punto mancavano solo 200 metri ai 27 chilometri prestabiliti, e così mi sono fermato a cambiarmi la maglietta e ho cercato un bar. In centro a Trento di domenica non sono aperti neanche i bar in Piazza Duomo. Sono entrato da Pingu e ho ordinato tre palline di gelato, un latte macchiato (cosa mai ordinata prima, non ero nemmeno certo di cosa fosse) e una brioche alla crema (alla crema?). Poi sono andato all'Urban e ho preso un chai latte grande da sei euro da bere sull'autobus verso casa. Una volta arrivato a casa ho mangiato due etti e mezzo di pasta.
Sono felice del lungo di ieri, anche se nel complesso è stata una giornata un po' di merda, ma non per la corsa. Sono riuscito a tenere un'effort vicina a un ritmo gara per due ore e mezza, il giorno dopo il cross e un doppio. Sto cercando di tenere volumi più contenuti dell'anno scorso, ma per la prima volta da mesi sento la voglia di allenarmi tanto e bene. Quindi cerco di farlo ma tirando un po' indietro. Magari a giugno ci arrivo vivo. Day by day. Chi lo sa.
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miciagalattica · 1 month ago
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Un sogno che sembrava troppo reale
PARTE QUINTA
Valgono le stesse avvertenze descritte nella parte prima.
La mattina dopo, mi svegliai, mi stiracchiai, rotolai giù dal letto e dissi a voce alta: "Mi sento benissimo! Non posso credere di aver fatto una cosa del genere ".  Nonostante il senso di colpa e della vergogna mi sentivo  come una dea. Vidi l’orologio, era tardi, avevo un appuntamento con due amiche che dovevano venire a prendermi per andare a giocare a tennis. Avevo solo quaranta minuti di tempo per prepararmi. Mi feci una doccia per lavarmi quanto di Dicky aveva lasciato in me, indossai la tenuta da tennis e scesi per uscire, ma Dicky appena mi sentì fu subito al mio fianco. Gli dissi che ora non era il momento perché ero in ritardo. Non mi sentì proprio, e spinse il muso contro il mio inguine. Dicky leccò con molta insistenza. Lo avrei lasciato leccare ancora un po’, ma la sua irruenza fu tale che mi fece cadere sul pavimento. Mi sentivo bagnatissima, cercai di reagire, ma ogni tentativo fu vano. Dicky non smetteva di leccare facendomi venire i brividi lungo la schiena. Mi rigirai per potermi alzare, ma il cane non me lo permise mi saltò sulla schiena sentii il suo cazzo duro che cercava di entrare, gli urlai che non avevo tempo per questo. Il suo cazzo trovava l’ostacolo delle mie mutandine. Poiché non voleva desistere ed io ero impossibilitata a muovermi con lui su di me, mi tolsi le mutandine, per facilitargli il compito. Non ne potevo più,  inoltre ero completamente fracida. Lo sentii scivolare dentro di me. Ero preda di una sensazione paradisiaca, sentii una fitta quando spinse il suo nodo dentro di me. Ora ero proprio bloccata, ero legata a lui indissolubilmente. Il mio sguardo ricadde sull’orologio a parete, andai nel panico sapendo che le sue amiche tra poco sarebbero arrivate a casa. Avevo solo dieci minuti, lottai contro il cane, ma non riuscivo a farci niente Dicky era troppo grande e forte. La mia unica speranza era che facessero tardi, la puntualità non era il loro forte.  Mi abbandonai a lui, non opposi nessuna resistenza, sentii il suo cazzo esplodere dentro di me,  Il suo caldo carico di sperma mi inondò, venni con lui nello stesso preciso istante. Ormai non m’importava più nulla. I minuti passavano ed io ero bloccata dal suo nodo gonfio, ancora un altro po’ e si sarebbe sgonfiato. Pregavo che succedesse nel più breve tempo possibile, sentii squillare il mio cellulare, erano le mie amiche che grazie a dio avevano tardato, sicuramente mi stavano chiamando per dirmi di scendere. Mi dimenai cercando di districarmi mentre il panico mi stava divorando, ormai erano passati venti minuti e Dicky era pronto a liberarmi da quella morsa, un ultimo sforzo e riuscii a farlo uscire. Mi alzai di scatto ripresi le mutandine e le indossai freneticamente. Le mie amiche bussarono alla porta, appena in tempo, ero in uno stato di agitazione, ero rossa in viso perché ero mortificata per quello che avevo appena fatto. Mi presero in giro perché allusero al fatto che nascondevo qualcuno  in casa. Dissi la prima cosa che mi venne in mente, dissi che avevo dormito troppo. In auto mi sedetti sul sedile posteriore.
Le mie amiche spettegolavano ma io ero con la mente altrove, stavo pensando a Dicky, al suo grosso cazzo e sentivo il ricordo dei graffi sui fianchi, dove le sue zampe mi avevano tenuta e controllata. All’improvviso mi resi conto che ero fracida e che stavano iniziando ad uscire i liquidi che il cane mi aveva donato. Rabbrividii, ero totalmente imbarazzata, il mio viso era in fiamme. Proprio in quel momento arrivammo al circolo di tennis, scesi di corsa dall’auto, la mia speranza era che non mi gocciolasse lungo la gamba. Speravo che iniziassero a colare mentre stavo giocando, cosi da confondersi con il sudore. Mi davo molto da fare a correre per sudare, Il cuore andava a mille, stavo custodendo un segreto molto proibito. Solo pochi minuti prima era stata legata impotente a un cane grosso ed esigente mentre lui prendeva il pieno e completo possesso sessuale del mio corpo e mi riempiva con il suo caldo sperma. Stavo giocando malissimo, non ero per niente concentrata. La mia amica era infastidita, sbagliavo dei tiri facili. Mi rimproverò duramente e mi chiese dove avessi la testa. La mia mente vagava nel magma di eventi che avevano trasformato la mia vita. A quei tabù che avevo infranto, a quello che era successo appena un’ora prima quando ero  stesa sul pavimento,  in sostanza costretta e forzata dal mio cane. In cuor mio sapevo che non era vero, ero stata io che glielo avevo permesso e che ho lasciato che mi scopasse. Al solo pensiero i capezzoli mi s’indurivano. Nonostante m’imponessi di concentrarmi sul gioco, non ci riuscivo. Il ricordo del suo incontro proibito penetrava nelle mie mutandine. Ansimavo di lussuria, la mia compagna di gioco iniziò a preoccuparsi, non mi aveva mai vista così. Cercai di rassicurarla, ma i miei capezzoli sempre più duri stavano smentendo quanto dicevo. In qualche modo ho terminato la partita. Il viaggio verso casa durò un’eternità, avevo paura di tradirmi. Appena arrivata  a casa, le salutai velocemente e corsi verso la porta e con le mani tremanti cercai le chiavi di casa, una volta accertatomi che l’auto fosse partita entrai.
Avevo solo una cosa in mente, Dicky era lì ad aspettarmi felicissimo di vedermi, la prova rosa faceva capolino sotto di lui. Mi strappai tutto di dosso e mi lasciai cadere sul pavimento, spinsi il sedere in alto, mi sentivo una cagna in calore. Tremavo di lussuria mentre sentivo le sue zampe che montavano sulla schiena, il suo peso mi spingeva giù. A sua durezza mi cercava, la trovava, la prendeva, lo sentii spingere dentro di me, venni quasi immediatamente, urlavo che ne volevo di più e ancora di più. Sentii il suo nodo spingersi contro cercando di adattarsi completamente a me. Mi strinsi a lui quasi istintivamente, un'altra grande spinta, e sentii il cuore battere forte, mentre Dicky me lo spingeva dentro. Sembrava che me lo stesse spingendo fino in fondo allo stomaco. Il mio respiro si fermò e sentii un altro enorme orgasmo prendermi. Giacevo ansimante, mentre le spinte di Dicky rallentavano e sentivo il suo calore ribollire dentro di me. Provai a muovermi, cercando una posizione più comoda. Dicky era pesante ed ero bloccata dal suo cazzo. Il pensiero era cosi erotico per aver rotto quel tabù che venni di nuovo mentre mi sentivo riempire dalla sua venuta. Immaginavo il suo sperma che si riversava dentro di me, io impregnata dalla bestia. A quel pensiero proibito e innaturale mi sentii strappata a un altro violento orgasmo. Mi sentivo totalmente posseduta, ero la sua  femmina totale. Dicky finalmente fini, il tempo che rimanemmo accoppiati mi sembrò interminabile. Rimasi sul pavimento ansimando, esausta ma totalmente soddisfatta, i miei pensieri si affievolirono. Non potevo altro che ammetterlo era stato favoloso. Avevo oltrepassato qualsiasi limite nella mia mente. Dicky aveva premuto tutti i pulsanti e lo sapevo. Sapevo che lo avrei fatto di nuovo. Sapevo che Dicky mi avrebbe voluta di nuovo... presto. E sapeva che glielo avrei permesso. Feci subito una doccia per togliermi di dosso la prova del completo possesso di Dicky, ma quello che non riuscivo a lavare era il ricordo di quello che avevo appena fatto. Feci delle faccende domestiche, ma vagavo senza una meta, non riuscivo a calmarmi, pensavo incessantemente che ero in preda al sesso. Dicky mi seguiva per tutta la casa, sempre alle calcagna, quando voleva mi avvicinava il suo muso, ed io immancabilmente lo respingevo ridendo. Ero troppo felice. Eravamo come sposi novelli. Mi sentivo un po’ in colpa per quel pensiero, ora la mia testa era prigioniera della relazione proibita con Dicky, ero diventata la sua puttana.
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libriaco · 5 months ago
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Una visita al Papa
Il pèndolo segnava le ùndici e mezza. E per le dieci dovèa èsser la udienza! Io aveva già esaurito ogni possìbile passatempo; aveva presa, come si dice, la consegna del luogo; fatto cioè conoscenza, non amicizia, con quattro arrazzoni che tenèan ciascuno una parete; addolìtomi il collo a mirare il dorato soffitto in cui campeggiava l’arme di Sua Santità, con due immensi chiavoni più atti a sfondare che non ad aprire le porte; gustato un pò di tutti i sedili intorno la sala, graditi assài quanto agli occhi, ma quanto a quell’altro, che, in fatto di sedie, è il migliore dei giùdici, assài poco… E poi, aveva passato in rivista i mièi compagni d’udienza: poche persone, del resto; sei o sette in nera marsina, cravatta bianca e mani sguantate, al pari di mè e dei servitori da caffè; due militari dimessi, abbigliati sul gusto dei generali delle marionette; nel rimanente, mònaci e preti dai visi o birbi o intontiti, i quali però, usi al mestiere dell’ozio, se la passàvano placidamente susurrando fra loro e stabaccando e sputacchiando in certe cassettine leggiadre poste tutt’intorno la sala. Nè a ròmpere la monotonìa, vi era che l’apparizione intrigata di qualche nuovo invitato o il frettoloso passaggio di qualche pretocchio dal mantellino di seta color violetto. Quand’ecco, la cannonata annunziatrice del mezzodì. Ciascuno si leva di tasca l’oriolo; dal cronòmetro mio allo scaldaletto del chierichino; e chi si mette a montarlo o ad aggiustarne la freccia e chi se l’appone all’orecchio e chi lo confronta con quel del vicino. E un servitore, pomposamente vestito di un damasco scarlatto, si appressa in grande sussiego al baroccofaragginoso orologio, ne apre il cristallo e con un dito guida la pigra lancia sulladodicèsima ora; poi, dà un buffetto al pèndolo, che rappresenta il gaudente faccione del sole. Ma, con esso, si riavvia anche la noja. I militari fuori di corso riprèndono a passeggiare su e giù e ad incrociarsi lisciàndosi i baffi; i mònaci e i preti a sbadigliare tacitamente, a stabaccare, a grattarsi; i signori in marsina, che non sedèttero a tempo, a non sapere più su quale gamba appoggiarsi. Ed io, cercato inutilmente di entrare in uno stanzone tutto marmi e colonne, in mezzo al quale, intorno a un braciere, stà un gruppo di Svìzzeri, in elmo e giallo-rossa divisa, cui non màncano che i dadi e il tamburo per èsser veri giudèi da sepolcro, ritorno nel vano del fìnestrone da cui mi sono staccato, e mi rimetto a guardare la sottostante amplìssima Roma. In quella, ecco risuona distintamente da Castel S. Angelo, una fanfara da bersagliere! Stranìssimo effetto! I preti sorrìsero ironicamente, i due militari arricciàronsi i baffi e si fècero d’occhio; io, dalla gioja, arrossìi. Per la prima volta in mia vita, amài, un istante, i soldati. Quell’allegra fanfara, udita in quella morta atmosfera di quattro sècoli fà, parèa dicesse, che il mondo vivèa tuttora nè mai avèa cessato dal proceder di corsa; che l’Italia s’andava compiendo a dispetto di tutti i Santi del taccuino nè così tosto si sarebbe disfatta. E lì mi coglièa la smania di vedere una schiera di que’ giòvani arditi, dalle piume al cappello, venire correndo al riscatto dei formosìssimi Iddìi vaticani, prigioni delle negre sottane, finèndola una buona volta con quella minùscola China, con quel pìccol rifugio dell’ignoranza e della immobilità, ammorbatore d’Europa. Ma quì, un gran movimento per tutta la sala. Da una lontanìssima porta, in fondo all’anticamerone de’ Svìzzeri, appariva un barbaglio di vesti d’ogni colore, e tra esso, un coso bianco, una specie di sacco. Il chierichetto, vicino mio, divenne rosso di fuoco. I due generali da burattini, si accomodàrono le pistagne e si fècer panciuti ancor più; fratume e pretame si mise a sbottirsi di tasca un nùvolo di agnusdèi, corone, crocifissi, santini, e pezze e pezzuole; trè o quattro giù, si buttàron per terra come majali. Capìi, che quel bianco che si avanzava, dovèa èsser qualcosa peggiore di un sacco. Era, difatti, Sua Santità il servo dei servi, primo fra gli inciampi al progresso, màssimo fra i nemici d’Italia.
C. Dossi, Una visita al papa da Goccie d'inchiostro [1880] in Opere scelte, Torino, UTET, 2004
Nota: l'evidenziazione nel testo è mia
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canesenzafissadimora · 11 months ago
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Scrivo perché la voglia di averti accanto
è talmente grande che ti penso spesso.
Ti scrivo più forte che posso,
quasi a strappare il foglio con la penna
per mimetizzare il tuo profilo con le mie emozioni,
perché nelle mie parole possa risentire
la tua risata
e in questa corsa tra vocali e consonanti,
tu sappia che la mia fantasia ti fa venire
da me.
Ti scrivo perché so che leggendomi, sorriderai
e forse ti s'inumidiranno gli occhi
e smetterai di fingere che non mi pensi,
che non mi cerchi,
che non mi vuoi.
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Emma Lamberti
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